Psiché sta finalmente entrando a pieno titolo nel dibattito sulla Polis. E’ quanto emerge anche dal 44esimo rapporto del Censis, che quest’anno elabora una diagnosi sullo stato di salute psichica del nostro Paese, cercando di individuare quali siano le cause profonde del malessere che tutti sentiamo avanzare. Il suo presidente, il sociologo Giuseppe De Rita, già dal titolo della sua relazione, evidenzia che quello italiano è "un inconscio collettivo senza più legge, né desiderio": perché siamo una società “troppo appagata e appiattita”, “pericolosamente segnata dal vuoto" che va verso "un ciclo segnato dall'annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti". Lascia intendere, De Rita, che non basta più la sola Ragione, pur se accompagnata da Economia e Sociologia, a spiegare questa dinamica di deriva socio-culturale. Riflessione necessaria quanto attesa, visti anche i numerosi commenti sui quotidiani, come quello di Ida Dominijanni su il manifesto del 4 dicembre: “Siamo paralizzati da qualcosa di più profondo che la contabilità economica o un trend che va storto: un grumo inconscio che annoda il rapporto tra desiderio e legge". O Benedetta Tobagi che, su la Repubblica dello stesso giorno, rileva giustamente che “il cambiamento dovrà partire necessariamente da dentro di noi”.
Va bene che finalmente si guardi in faccia una realtà asfittica avvalendosi di strumenti umanistici e non meramente economico-elettorali, a patto però che non si scivoli nella solita falsa e nociva rappresentazione catto-freudiana di una società moderna “senza freni” dove, per essersi "eclissati l’Edipo e il padre", saremmo preda di una “onda di pulsioni sregolate” (quella presunta "sregolazione pulsionale", dello psicanalista lacaniano Massimo Recalcati, da cui il Censis si fa ispirare per il suo rapporto). Analisi, questa, con cui possiamo solo dissentire: la questione non essendo la libertà sfrenata o la fine delle autorità, ma semmai la violenza distruttiva dei rapporti e la malattia mentale sempre più "incurantemente" diffusa, che sono le uniche variabili a determinare “frantumazione, vuoto, immobilità, violenza" e altri sintomi. Il rapporto Censis propone però un invito stimolante e nuovo quando dice che occorre un rilancio del desiderio: “tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”, scrive ancora De Rita. Sì, ma chiediamo al sociologo: cos’è il desiderio? Sembra quasi che egli lo ritenga una virtù astratta "degli" esseri umani che prescinde dalla dinamica "tra" esseri umani, e in special modo tra donna e uomo...
E' proprio il rapporto interumano che si sta modificando nella società odierna e che il Censis nemmeno menziona, se non in negativo: quel necessario rapporto creativo, irrazionale, libero "tra" esseri umani di cui parla Massimo Fagioli nella sua Teoria della nascita (eccola, la Teoria!) e in tanti suoi scritti. Bisogna andare oltre anche il bel titolo della Tobagi su Repubblica, “Nuovo Umanesimo antidoto al vuoto”, perché un umanesimo anche nuovo, da solo, ancora non basta. Dobbiamo allora pensare che il vero antidoto stia in un ”Interumanesimo”: parola-idea-speranza che, sulla scorta della Teoria fagioliana, avevamo già coniato un anno fa (l’Unità, 27.08.09) con l'obiettivo di congiungere umanesimo e rapporti umani. Per puntare seriamente alla ricostruzione di una società davvero nonviolenta, per ritrovare vitalità e fantasia collettive. Perché - scrivevamo - è "sul terreno della diversità – all’interno dei rapporti interumani – e nel confronto, non certo nell’isolamento delle identità, che va cercato il seme di quell’agire comune che è così drammaticamente assente in questo Paese autoritario e incanalato in modelli unici. Conservatore e clericale; dove vigono immobilismo e rassegnazione, carenza di vitalità e di fantasia. Dove una società sempre più virtuale e anaffettiva accetta come 'normale' una forma di lenta ma crescente disumanizzazione. Quando non si è più capaci di tracciare i limiti tra che cos’è l’umano e cosa non lo sia, è chiaro che diventa improbabile o insensato pensare e fare politica; e riuscire a dissentire. E ribellarsi per trasformare il presente".
Questa rivoluzione-desiderio delle donne e degli uomini noi la chiamiamo “Interumanesimo".