di Flore Murard-Yovanovitch e Paolo Izzo

di Flore Murard-Yovanovitch e Paolo Izzo



venerdì 3 giugno 2011

14. Epidemia di "cecità" sulla malattia mentale

«Parli come se fossi cieca anche tu, disse la ragazza dagli occhiali scuri, In un certo qual modo è vero, sono cieca della vostra cecità, potrei forse cominciare a veder meglio se fossimo più gente a vederci». Queste parole, tratte dal romanzo “Cecità” di José Saramago, potrebbero gettare luce su quanto sta avvenendo dopo che due bambini sono morti, entrambi perché “dimenticati” in auto dai rispettivi padri. Su quelle tragiche vicende, infatti, una catena di commenti simili, spezzata soltanto raramente da sprazzi controcorrente, ha agito come un contagio inarrestabile, diventando un  minaccioso pensiero unico: “sarebbe potuto succedere a ognuno di noi”.

Dimenticanza, distrazione, black-out, torpore, fragilità e stress del vivere frenetico, sono le prime  fallaci ipotesi, per poi arrivare a vere e proprie tesi deliranti: “monolite di 2001 Odissea nello spazio... senza nessun accesso interpretativo” (Mauro Covacich, Corriere della Sera), “mistero del dolore umano” (Sergio Givone, Messaggero), “paradosso dell'amore... che può accadere a tutti i papà e soprattutto ai papà più amorevoli” (Francesco Merlo, Repubblica), “isola di follia in agguato e dentro ognuno di noi” (Luigi Cancrini - psichiatra, Unità), “rimozione della presenza dei bambini a bordo... non sono meccanismi patologici” (Massimo Ammaniti – psichiatra, Repubblica). Potremmo continuare per pagine, citando i giornalisti, psicologi, medici, intellettuali e lettori-spettatori che si sono espressi sui due casi di cronaca, in un terribile tormentone di negazione della malattia mentale e della relativa scoperta di Massimo Fagioli della “pulsione di annullamento”, cioè di quella attività inconscia patologica che rende l'altro inesistente (come ben spiegano gli psichiatri Annelore Homberg su “Left” e Andrea Masini su “RaiNews”).

Cosa succede, allora? Chi ha contagiato e continua a contagiare l'opinione pubblica con l'idea sbagliata che potremmo tutti “dimenticare” un figlio fino a farlo morire? E' reale questo accanimento di solidarietà, comprensione, identificazione con quei padri (dopo che si è dato dell'assassino a un altro padre, perché voleva staccare il sondino a una figlia già morta) oppure è soltanto la delinquenza di chi non vuole far passare una idea diversa della natura umana? Come è possibile, anche quando una dinamica pulsionale malata si rende così evidente, che i guardiani di una cultura freudo-magico-religiosa, che ci vuole tutti pazzi e omicidi, peccatori e cattivi, continuino a volere ingannare tutti, a non permettere la conoscenza e la cura di reali patologie che possono ammalare un essere umano (altro che monolite spaziale!)?
Continua a sbalordirci questo incredibile, palese diktat culturale che mira soltanto a perpetuare una cultura della morte, dell'aldilà, dello spirito, del non-nato, del non-vivo... a impedire di pensare come “normali” i rapporti umani sani e creativi, dove un bambino non si “annulla”, dove una donna non si uccide, dove un immigrato non si lascia affogare... a voler rinchiuderci tutti irrimediabilmente nei castelli della cecità.


lunedì 11 aprile 2011

13. L'identità irrazionale è il nuovo umanesimo

Per una volta e insolitamente rispetto al suo stile, la Repubblica - il 2 aprile scorso - ci ha fornito un abbozzo di dibattito controcorrente: affidandosi a due pensatori del calibro di Edgar Morin e David Brooks e sotto lo slogan “Puntate sul quoziente emotivo”, il giornale fondato da Scalfari sembra aprirsi ad una critica del razionalismo illuminista. Eppure, fingendo di minare un tabù della nostra civiltà, quello del dominio incontrastato della Ragione, in verità finisce per cementare ancora di più questo primato.

L'inizio è ingannevole. Per il francese Morin, una “visione riduttiva e semplicistica della razionalità è all'origine dell'odierna dittatura del calcolo, che il razionalismo occidentale considera una condizione necessaria e sufficiente per dominare la realtà”, conducendoci alla distruzione del nostro stesso pianeta. L'americano Brooks va anche più a fondo, parlando di “distorsione della nostra cultura, che esalta il razionale e il cosciente, ma resta nel vago sui processi in atto negli strati più profondi. Siamo bravissimi a parlare di cose materiali, ma quando si tratta di emozioni la nostra abilità viene meno”. Entrambi i filosofi, cioè, intuiscono l’urgente necessità di un cambiamento di paradigma della nostra civiltà, verso la riscoperta del “potere conoscitivo delle passioni e delle emozioni” (Morin) e di “qualità emotive”, “sintonia”, “simpatia” e “empatia”, come sottolinea Brooks, il quale arriva addirittura ad affermare che “la parte più importante della menta umana è quella inconscia”!

I dolori arrivano quando i due propongono la loro ricetta per “curarsi” dalla razionalità, perché il rimedio pare più velenoso dell'avvelenamento e dimostra quanto la cultura occidentale resti sempre prigioniera dei suoi retaggi. Morin non solo ripesca l'Illuminismo, che è il principale adoratore della dea Ragione, sebbene lo condisca in una sentimentale salsa romantica e rousseaviana, ma persino auspica “un'altra razionalità, aperta e autocritica”... Brooks che, al contrario, sa distanziarsi dalla visione illuministica perché responsabile in primis di una “concezione amputata della natura umana”, tuttavia ricade con tutte le scarpe nei due imbrogli, rispettivamente millenario e centenario, della religione cattolica e di quella freudiana.

Drammaticamente sintomatico che dai testi di entrambi i pensatori sia assente la parola “sogno”, cioè un riferimento a quel terzo di vita che ciascuno di noi trascorre nella dimensione non cosciente. Che è “pensiero per immagini”... Come si fa a contrastare una Ragione onnivora e distruttiva, senza una ricerca sul pensiero irrazionale? Come si fa ad auspicare un nuovo umanesimo, senza includere quella parte fondamentale che non è veglia, linguaggio articolato, comportamento? Ineludibile, in tal senso, quanto sostenuto dallo psichiatra Massimo Fagioli: “E' necessario, per pensare e sapere la realtà del pensiero senza coscienza, rifiutare il metodo razionale che ha fatto la conoscenza della realtà materiale. E’ necessario scoprire e realizzare l’identità irrazionale che è soltanto dell’essere umano” (M. Fagioli, Il Pensiero Nuovo, Ed. L'Asino d'oro 2011).

Ci vuole un salto di pensiero, appunto. Che non taccia più la verità della realtà della mente umana che è “capacità di immaginare”. Per un nuoto libero, in acque davvero limpide e nuove, che non si lasci avviluppare dalle alghe dell'alleanza mostruosa tra alienazione religiosa e razionalità, occorre recepire finalmente la Teoria della nascita fagioliana secondo cui l'essere umano è sano di mente dal primo istante della sua venuta alla luce. Ed è in rapporto con gli altri sin dall'inizio della sua vita: un interumanesimo naturale del genere umano alla nascita. Ricreando di volta in volta quella sanità originaria, si può quindi pensare e avere fiducia in un rapporto nonviolento tra esseri umani, fondato su desiderio investimento interesse per l'altro e sulla reciproca realizzazione di un'identità creativa, che è soltanto umana.
La vera sfida del secolo è rifondare l'umanesimo sull'identità irrazionale dell'essere umano.

domenica 13 febbraio 2011

12. "Se non ora, quando?" Ogni giorno!

Oggi scendiamo in piazza, insieme a tanti altri uomini e donne, ma l'ultima delle nostre motivazioni è il "bunga bunga" di Berlusconi.
La prima, reale, secolare, irrisolta motivazione, che ogni giorno suscita la nostra ribellione, è la diffusa quotidiana invisibile violenza psichica e fisica contro la donna, ovunque nel mondo e in Italia.


Ecco una lista sicuramente non esaustiva delle donne per cui verrebbe da manifestare ogni giorno:
per la donna violentata dalla pazzia maschile, nell'indifferenza dei passanti;
per la ragazza che ha paura di notte a tornare a casa da sola;
per la moglie o figlia ammazzata da suo marito o padre, perché da sempre considerata una sua proprietà;
per la prostituta nigeriana, vittima della tratta e dell'ipocrisia del "padre di famiglia" che la cerca tra i cespugli del lungomare;
per la ragazza dell'Est, senza nome, ignota e a volte trovata morta in un bosco; 
per la badante che pulisce, senza diritti né cittadinanza, i culi dei nostri vecchi;
per la lavoratrice sottostimata, mal pagata e derubata della sua carriera;
per la donna incinta senza volerlo, che decida di abortire e che si trovi di fronte il muro cattolico e violento di un medico "obiettore di coscienza";
per la ragazza cui il farmacista nega un diritto, non consegnandole la pillola del giorno dopo, né quella del giorno prima;
per la bambina mutilata dei suoi organi genitali e del piacere sessuale, prima ancora di avere l'età di ribellarsi ad una malata "tradizione" della comunità;
per l'africana che ha rischiato il mare e le dittature e i militari e le carceri e che, non appena approdata,  viene chiamata "clandestina" e rimpatriata verso l'orrore;
per la ragazza molestata sul lavoro dal suo capo-padrone, in strada da un qualunque sconosciuto, nel negozio dal venditore;
per la donna che nel traffico, ogni giorno, qualunque maschio si sente nel diritto incontrastato di lanciarle un "bella, dove ti porto?" quando non un "mignotta!", soltanto perché quel giorno è allegra e, per festeggiare la primavera, ha scelto la minigonna;
per la donna sola, ritenuta più "facile" preda e abbordabile; 
per la minorenne, filippina, brasiliana, thailandese, ecc. vittima dell'ignobile "turista" occidentale;
per la donna che non ha la possibilità di accedere alla fecondazione assistita;
per la bambina che si fidava del parroco… pedofilo.

Perché non è a partire da questi ultimi vent'anni che la donna è vista come un oggetto, ma è un millenario annullamento di Stati e Chiesa, filosofi e politici, che hanno teorizzato l'inferiorità della donna. I berluschini di oggi sono soltanto gli epigoni, gli "utilizzatori finali" di una storia culturale dalle radici antichissime, segnata dalla violenza psichica e fisica contro la donna, per cui una schizofrenica gelosia diventava "delitto d'onore", l'abuso di una figlia normale è esercizio della "patria potestà", il battesimo e il catechismo sarebbero l'estirpazione del diavolo dal corpo e dalla mente di una giovane innocente… Mentre manca oggi, ancora vistosamente, in Italia quella "dignità" che in realtà si chiama libertà incontrastata della donna di parlare, esprimersi, andare in bicicletta, vestirsi come le piace, prendere il sole in spiaggia, vivere la propria identità profonda, amare. 
Sempre destinata a soccombere ad una cultura monosessuale…

Ma oggi, finalmente, sembra risvegliarsi l'eterna immagine della donna ribelle che afferma il rifiuto di quella condizione storica e la propria identità-vitalità rivoluzionaria. 
Queste piazze devono essere, non mera fisicità, ma riscatto della psiche libera e certezza della possibilità di trasformazione, per ridare linfa a questo Paese malato e addormentato. 
E aprire un nuovo capitolo di rapporti uomo-donna sani e irrazionali: interumanesimo nonviolento che sia fantasia, creatività, realizzazione di identità umana.

Flore Murard-Yovanovitch e Paolo Izzo

lunedì 13 dicembre 2010

11. Il desiderio è nell'interumanesimo

Psiché sta finalmente entrando a pieno titolo nel dibattito sulla Polis. E’ quanto emerge anche dal 44esimo rapporto del Censis, che quest’anno elabora una diagnosi sullo stato di salute psichica del nostro Paese, cercando di individuare quali siano le cause profonde del malessere che tutti sentiamo avanzare. Il suo presidente, il sociologo Giuseppe De Rita, già dal titolo della sua relazione, evidenzia che quello italiano è "un inconscio collettivo senza più legge, né desiderio": perché siamo una società “troppo appagata e appiattita”, “pericolosamente segnata dal vuoto" che va verso "un ciclo segnato dall'annullamento e dalla nirvanizzazione degli interessi e dei conflitti". Lascia intendere, De Rita, che non basta più la sola Ragione, pur se accompagnata da Economia e Sociologia, a spiegare questa dinamica di deriva socio-culturale. Riflessione necessaria quanto attesa, visti anche i numerosi commenti sui quotidiani, come quello di Ida Dominijanni su il manifesto del 4 dicembre: “Siamo paralizzati da qualcosa di più profondo che la contabilità economica o un trend che va storto: un grumo inconscio che annoda il rapporto tra desiderio e legge". O Benedetta Tobagi che, su la Repubblica dello stesso giorno, rileva giustamente che “il cambiamento dovrà partire necessariamente da dentro di noi”.

Va bene che finalmente si guardi in faccia una realtà asfittica avvalendosi di strumenti umanistici e non meramente economico-elettorali, a patto però che non si scivoli nella solita falsa e nociva rappresentazione catto-freudiana di una società moderna “senza freni” dove, per essersi "eclissati l’Edipo e il padre", saremmo preda di una “onda di pulsioni sregolate” (quella presunta "sregolazione pulsionale", dello psicanalista lacaniano Massimo Recalcati, da cui il Censis si fa ispirare per il suo rapporto). Analisi, questa, con cui possiamo solo dissentire: la questione non essendo la libertà sfrenata o la fine delle autorità, ma semmai la violenza distruttiva dei rapporti e la malattia mentale sempre più "incurantemente" diffusa, che sono le uniche variabili a determinare “frantumazione, vuoto, immobilità, violenza" e altri sintomi. Il rapporto Censis propone però un invito stimolante e nuovo quando dice che occorre un rilancio del desiderio: “tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”, scrive ancora De Rita. Sì, ma chiediamo al sociologo: cos’è il desiderio? Sembra quasi che egli lo ritenga una virtù astratta "degli" esseri umani che prescinde dalla dinamica "tra" esseri umani, e in special modo tra donna e uomo...

E' proprio il rapporto interumano che si sta modificando nella società odierna e che il Censis nemmeno menziona, se non in negativo: quel necessario rapporto creativo, irrazionale, libero "tra" esseri umani di cui parla Massimo Fagioli nella sua Teoria della nascita (eccola, la Teoria!) e in tanti suoi scritti. Bisogna andare oltre anche il bel titolo della Tobagi su Repubblica, “Nuovo Umanesimo antidoto al vuoto”, perché un umanesimo anche nuovo, da solo, ancora non basta. Dobbiamo allora pensare che il vero antidoto stia in un ”Interumanesimo”: parola-idea-speranza che, sulla scorta della Teoria fagioliana, avevamo già coniato un anno fa (l’Unità, 27.08.09) con l'obiettivo di congiungere umanesimo e rapporti umani. Per puntare seriamente alla ricostruzione di una società davvero nonviolenta, per ritrovare vitalità e fantasia collettive. Perché - scrivevamo - è "sul terreno della diversità – all’interno dei rapporti interumani – e nel confronto, non certo nell’isolamento delle identità, che va cercato il seme di quell’agire comune che è così drammaticamente assente in questo Paese autoritario e incanalato in modelli unici. Conservatore e clericale; dove vigono immobilismo e rassegnazione, carenza di vitalità e di fantasia. Dove una società sempre più virtuale e anaffettiva accetta come 'normale' una forma di lenta ma crescente disumanizzazione. Quando non si è più capaci di tracciare i limiti tra che cos’è l’umano e cosa non lo sia, è chiaro che diventa improbabile o insensato pensare e fare politica; e riuscire a dissentire. E ribellarsi per trasformare il presente".

Questa rivoluzione-desiderio delle donne e degli uomini noi la chiamiamo “Interumanesimo".

giovedì 9 dicembre 2010

10. L'ingiusta distanza

Si chiama “percezione delirante”. Prima ancora che fosse svolta un’indagine approfondita, il responsabile della scomparsa di Yara Gambirasio era già stato individuato: un operaio marocchino. Per 24 ore, da nord a sud, dai giornalisti alla gente comune, si è voluto credere o far credere che un immigrato fosse il colpevole perfetto. Percezione rivelatasi… delirante.
Non si può accantonare con leggerezza la gravità di una reazione che, oltre a confermare ancora una volta la xenofobia dilagante nel nostro Paese, denota una deformazione della mente di alcuni italiani, secondo cui la pelle scura è diventata facile sinonimo di delinquenza.
Ed è l’ampiezza delle dimostrazioni, dagli striscioni alle dichiarazioni mediatiche, al linciaggio prima di tutto simbolico, che dovrebbe farci fermare a riflettere e, almeno, a chiedere scusa a Mohamed Fikri. Scuse ufficiali, pubbliche, per aver invaso e denigrato la sua vita, con il solito glossario preconfezionato di aggettivi-pregiudizi (il Messaggero è arrivato a usare la parola “randagio”, come per un cane) che accompagna il sostantivo “immigrato”.
E torna in mente il bellissimo film “La giusta distanza” (2007) di Carlo Mazzacurati, che con le immagini già anticipava questa preoccupante dinamica psico-sociale: anche lì, un uomo tunisino era ingiustamente accusato e imprigionato per la morte di una giovane italiana, allorché il vero colpevole era un altro italiano. Tuttavia, il tunisino innamorato che aveva ballato la sua diversità sulla piazza del paesino di adozione, diventato conveniente capro espiatorio, finiva per suicidarsi in carcere: perché la donna che amava era morta. Perché non era stato lui a ucciderla.

mercoledì 17 novembre 2010

9. Se una notte d'inverno uno psichiatra...

Non vorremmo incontrare di notte, in una strada buia, fredda e isolata, lo psichiatra Vittorino Andreoli. Non tanto per l’inquietante foggia tricologica che ha contribuito a renderlo popolare (televisivamente parlando). Quanto per ciò che ha scritto il 15 novembre scorso sul Corriere della Sera: "Siamo circondati da nemici e sono pronti a ucciderci, per un nonnulla, per una banalità... Schegge di violenza che possono colpire chiunque... Una violenza pulsionale, come se l’uomo avesse perso i freni inibitori”.
 Arrivando persino a teorizzare: “E' in corso una metamorfosi antropologica e si profila un uomo pulsionale, istintivo e selvaggio, senza più il senso di colpa... C’è in ciascuno di noi un serbatoio di frustrazione che può fare una strage...".
Dunque, saremmo circondati. Dal Male che ribolle in persone-pentole pronte a esplodere per un nonnulla. Tutti potenzialmente assassini incontinenti, perché tutti “lupi-pazzi”, come millenariamente martellano i detentori della vulgata ufficiale. Ma quello che è ancora più grave, nell'allarme dello psichiatra, è che egli non riesce proprio a pronunciare le parole "malattia mentale".
Solito discorso: siamo originariamente pazzi e peccatori e se non agiamo la nostra peccatrice pazzia è soltanto grazie a presunti "freni inibitori" e al “senso di colpa”, imposti dall’alto di società e chiese. Ergo: più sicurezza, più controllo, nessuna libertà, altrimenti ci scanniamo! E perché non posizionare un esorcista agli angoli di tutte le strade?
Una cosa Andreoli è costretto ad ammetterla, con una sentenza che evidentemente lo riguarda: "La psichiatria, che era la disciplina che si occupava di comportamenti sani e malati e che si proponeva di curare chi si comportava in maniera pericolosa, è confusa". Ce ne siamo accorti, caro professore.
Ma non pensavamo, con il nostro inguaribile ottimismo della Nascita, di dover guardarci le spalle anche dagli specialisti, da cui ci aspettiamo semmai di ricevere analisi concrete di ciò che accade, non ulteriori deliri catto-hobbesiani-freudiani.

sabato 6 novembre 2010

8. Depressione politica


Già da qualche giorno, un quesito che il lettore Paolo Baruffaldi ha rivolto a "la Repubblica" sui nessi tra depressione e clima politico-culturale, ci risuona nel profondo. È la rubrica delle lettere ai giornali che spesso diventa antica Agorà, fucina di idee, luogo di sincerità (tanto che talvolta vi ricorriamo anche noi...).
Ed è sempre notevole che sia un lettore, molto più efficacemente di tanti commentatori professionisti, a centrare il "latente" della deriva politico-culturale italiana, riassumendo mille interrogativi in un'unica sentenza. Il signor Baruffaldi semplicemente domandava al giornale del 2 novembre (senza purtroppo avere una risposta): "E' possibile che un individuo si ammali a causa del clima culturale dell'epoca?".
Per noi la sua domanda è pleonastica: sì, un clima politico-culturale ammalato non può non avere effetti sulla psiche dell'individuo, che non è una "bolla", ma è per sua natura sociale e interumana. Se politica e cultura sono violente nell'annullare la realtà, la verità, l'identità e la vita stessa della persona, quest'ultima può stare male. Dunque, il clima da abisso psicopatologico in cui viviamo può ammalare le menti, eccome! Gli esempi sono sotto i nostri occhi: omicidi reiterati, xenofobia dilagante, feudalizzazione sociale, oscurantismo religioso, spettacolarità del nulla e contestuale annullamento di ciò che è irrazionale, vitalità e fantasia.
L'urgenza di capire i nessi tra la malattia mentale e una politica/cultura velenosa è la base del nostro laboratorio, nonché proprio del lavoro di queste settimane e le domande che gridano un'esigenza di risposta sono l'humus... interumano della nostra ricerca. Per ribellarsi, senza ammalarsi.