di Flore Murard-Yovanovitch e Paolo Izzo

di Flore Murard-Yovanovitch e Paolo Izzo



venerdì 24 settembre 2010

3. Clandestino Day

Oggi, in occasione del Clandestino Day, si potrebbe partire da una riflessione sul linguaggio. Quello che bandisce, fomenta diffidenza e xenofobia, sposta lentamente il senso comune tra un “noi” e degli pseudo “altri”.
“Clandestino” è una di queste parole-muro, parole-arma. Sembra innocua, soltanto “mediatica” e abusata sui giornali italiani, invece evoca segretezza, ombra, legami con la criminalità… Citiamo dall’appello di Giornalisti Contro il Razzismo: "Viene utilizzata per indicare persone straniere che per varie ragioni non sono in regola, in tutto o in parte, con le norme nazionali sui permessi di soggiorno, per quanto vivano alla luce del sole, lavorino, conducano esistenze 'normali'".
Sono così definite "clandestine" persone che non sono riuscite a ottenere il permesso di soggiorno o a rinnovarlo a causa dell’impraticabile burocrazia italiana, altre che sono entrate in Italia con un visto turistico poi scaduto. Peggio, sono a grande maggioranza rifugiati, profughi, richiedenti asilo e in attesa di una risposta alla loro richiesta, o ancora sfollati in fuga da guerre o disastri naturali.
E’ sempre possibile evitare questa parola stigmatizzante e usarne un’altra, come afferma questo appello e anche la ancora poco rispettata dai giornalisti “Carta deontologica di Roma sui richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti”.
Inoltre “clandestino” non significa niente: un’infrazione amministrativa non definisce un uomo. E, visto che ci siamo, mettiamo anche al bando le parole “vu cumprà”, “extracomunitario”, “nomadi”, “zingari, “barbari”… e teniamo gli esseri umani!

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