di Flore Murard-Yovanovitch e Paolo Izzo

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martedì 7 settembre 2010

1. Fuori il "diverso" dalla società degli "uguali"

In questa estate fangosa, un parallelismo inquietante tra le notizie continue di omicidi contro le donne e l'ondata xenofoba che ha caratterizzato cronaca e politica, pone con forza una domanda nuova. Non sarebbe da evidenziare il nesso invisibile, sotterraneo, tra la violenza contro le donne e quella nei confronti degli immigrati? Non sarebbe infatti un annullamento, pressoché identico, contro il diverso da sé?
Nel primo caso, a venirci in mente non è certo "la brusca mutazione antropologica" dei rapporti tra i sessi ricordata da Luigi Cancrini (l'Unità, 6 settembre), né la normale dialettica sulla parità che secondo lo psichiatra sarebbe "un elemento di conflitto alla base di molti dei delitti più gravi". Piuttosto, si dovrebbe affermare senza ombra di dubbio, ed è paradossale che tocchi a noi farlo, che, se un uomo arriva ad ammazzare una donna, si tratta di malattia mentale, e che semmai questa va individuata partendo proprio dalla "pulsione di annullamento" (Massimo Fagioli).
Nel caso degli immigrati, l'accanimento appare semmai sotto altre forme, che vanno dall'insulto, alle botte o al respingimento, quando non all'eliminazione fisica, ma la sostanza dell'annullamento del diverso è la stessa. Sfociato negli ultimi mesi, nell'accesso delirante di propaganda politica e culturale, dalla Francia all'Italia, di una "necessaria" espulsione di qualche centinaio di rom (figura che rappresenta il diverso per antonomasia), come se quella fosse la soluzione ai mali della società occidentale.
Parallelismo inquietante, forse. Ma come non cogliere che sia la donna, sia l'immigrato, propongono una immagine irrazionale e sconosciuta? Sradicare ogni "diverso" dalla società degli "uguali" porterà soltanto a specchiarsi in una figura monocromatica, maschile, razionale. Praticamente un mostro.

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