di Flore Murard-Yovanovitch e Paolo Izzo

di Flore Murard-Yovanovitch e Paolo Izzo



giovedì 9 dicembre 2010

10. L'ingiusta distanza

Si chiama “percezione delirante”. Prima ancora che fosse svolta un’indagine approfondita, il responsabile della scomparsa di Yara Gambirasio era già stato individuato: un operaio marocchino. Per 24 ore, da nord a sud, dai giornalisti alla gente comune, si è voluto credere o far credere che un immigrato fosse il colpevole perfetto. Percezione rivelatasi… delirante.
Non si può accantonare con leggerezza la gravità di una reazione che, oltre a confermare ancora una volta la xenofobia dilagante nel nostro Paese, denota una deformazione della mente di alcuni italiani, secondo cui la pelle scura è diventata facile sinonimo di delinquenza.
Ed è l’ampiezza delle dimostrazioni, dagli striscioni alle dichiarazioni mediatiche, al linciaggio prima di tutto simbolico, che dovrebbe farci fermare a riflettere e, almeno, a chiedere scusa a Mohamed Fikri. Scuse ufficiali, pubbliche, per aver invaso e denigrato la sua vita, con il solito glossario preconfezionato di aggettivi-pregiudizi (il Messaggero è arrivato a usare la parola “randagio”, come per un cane) che accompagna il sostantivo “immigrato”.
E torna in mente il bellissimo film “La giusta distanza” (2007) di Carlo Mazzacurati, che con le immagini già anticipava questa preoccupante dinamica psico-sociale: anche lì, un uomo tunisino era ingiustamente accusato e imprigionato per la morte di una giovane italiana, allorché il vero colpevole era un altro italiano. Tuttavia, il tunisino innamorato che aveva ballato la sua diversità sulla piazza del paesino di adozione, diventato conveniente capro espiatorio, finiva per suicidarsi in carcere: perché la donna che amava era morta. Perché non era stato lui a ucciderla.

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